lunedì 7 aprile 2008

Il cacciatore di aquiloni

Ho letto il libro e mi è piaciuto molto ora è uscito il film, ve lo consiglio caldamente.

Kabul 1978. Amir è figlio di Baba, un uomo facoltoso di etnia Pashtun. Il suo migliore amico è Hassan, figlio del servitore di casa e appartenente alla inferiore etnia degli Hazara. Entrambi amano molto far volare gli aquiloni per i quali sono previste gare che coinvolgono molti ragazzi della città. Il vincitore è chi riesce a far restare il proprio aquilone in volo per ultimo dopo che tutti gli altri hanno avuto il filo tranciato. Amir, che ha ritrovato la stima di suo padre proprio in seguito alla vittoria (insieme ad Hassan) nella gara più importante di lì a poco assiste (senza avere il coraggio di intervenire) alla sodomizzazione di Hassan da parte di un terzetto di ragazzi ricchi e razzisti. Da quel momento si porterà dentro un senso di colpa che lo allontanerà dall'amico che vede come denuncia vivente della sua vigliaccheria. Finché un giorno, trasferitosi negli Stati Uniti e divenuto scrittore di successo, gli giungerà una telefonata.
Premessa: non bisognerebbe mai aver letto prima il libro da cui un film è tratto. Perché, pur non volendolo, si finisce con il fare confronti che andrebbero evitati dato che si tratta di due forme di comunicazione molto diverse. Come centinaia di migliaia di italiani però ho letto il libro di Khaled Hosseini. E, consapevole della tentazione, proverò a dividere la recensione in due parti. La prima (che è ineludibile ma che lo spettatore che non conosce il romanzo può non tenere in considerazione) mi spinge a pensare che Marc Forster, pur avendo realizzato un film più che dignitoso, non riesce a restituire (nella inevitabile sintesi della sceneggiatura che, ad esempio, quasi elide la difficoltà d’inserimento del protagonista della parte finale) l'emozione complessa che il libro suscita nel lettore. La vicenda che giunge sullo schermo è assolutamente fedele ma è come se nelle pagine fosse rimasto un vissuto, un sentire, un'atmosfera che il regista occidentale non è riuscito a tradurre in immagini.
Se però si prova ad allontanarsi dalla parola scritta e si pensa al film in sé allora si apprezzano senz'altro l'intensità di un attore come Homayoun Ershadi nel complesso ruolo del padre di Amir oppure la scena della gara degli aquiloni in cui, vedendo tutta la città partecipe del gioco dei ragazzi, non si può non pensare che anche questo venne proibito dai Talebani una volta giunti al potere. Così come si passa sopra all'omertà sulle armi fornite dagli americani a questi ultimi quali forza di contrasto nei confronti dei Sovietici colpiti come si è dalla convinta bravura dei due giovani interpreti. I quali hanno rischiato gravi sanzioni (sono entrambi afgani) per aver partecipato alla scena della sodomizzazione (peraltro trattata con grande delicatezza visiva nel film).
Si resta poi piacevolmente affascinati dalla ricostruzione della Kabul anni Settanta realizzata girando in… (sembra difficile crederci vedendo il film ma se avete la pazienza di seguire lo scorrere dei titoli di coda lo verificherete direttamente) Cina. Ovviamente nei territori di confine con l'Afghanistan.

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